Riceviamo da Valeria Privitera questa riflessione del figlio Giuseppe Passalacqua. Ci auguriamo sia di stimolo per comprendere meglio questa nostra città, nelle sue diversità e molteplici sfaccettature. Un grazie sentito ai nostri due nuovi amici.
Basta un’ora per innamorarsi di Sant’Agabio. Sei
binari separano i giardinetti di Piazza Garibaldi dai muri invisibili del
Leonardo da Vinci. Sei binari possono bastare per scoprire una società che
cambia. Basta fermarsi. Osservare le signore con le facce truccate e liftate che
tornano da Milano. Basta guardare le nigeriane che arrivano da Torino con
le loro borse e le buffe parrucche. Basta sentire le voci degli studenti
che rimbombano sotto le traversine. Spavaldi, indossano la tracolla per un
altro giorno di scuola, mentre mendicanti invisibili chiedono soldi e vengono
derisi. Solo sei binari separano il “Bronx”, il “quartiere ghetto” dal centro storico
di Novara.
Sant’ Agabio, 12.877 abitanti.
Sant’agabio 3.274 extracomunitari.
S. Agabio la Novara multietnica, un Mondo in 37 nazioni.
S. Agabio, il secondo vescovo dopo Gaudenzio.
S. Agabio, la contraddizione di Novara.
S’ Agabio, una profezia che si autoavvera. Costante e ignara di se
stessa.
Il passaggio a livello è chiuso. Aspetto passare l’ultimo merci. Slego la
bicicletta. Il sellino è ancora bagnato dall’umidità del mattino. La lascio
sempre lì, appoggiata al container, tra carcasse di catene e ferraglia. Pedalo.
Al dopolavoro, i ferrovieri gustano il primo caffè e parlano un dialetto che
non conosco. Pedalo. Supero la zona del boschetto e il polo chimico intorno
alla
Montecatini. La ferrovia sembra lontana. I magazzini arabi sono già aperti,
la spazzatura è già ammucchiata davanti al negozio di Hasserar, il primo
kebabbaro della zona. Alcuni bambini sorridono sulle loro Bmx, tra polvere e
fumo. Nel giardinetto i soliti anziani, col turbante, la maglietta bianca
e i pantaloni di lino. Mi guardano stupiti e mi sento straniero. Arrivo in
Corso Trieste, una lunga arteria che si propaga in un sistema infetto, la
pancia di questo inferno-paradiso. L’aria fredda entra nei miei polmoni insieme
al puzzo di piscio e a quello del curry. Le narici vanno in paranoia. Il
traffico è intenso e il freddo non fa respirare. Come ogni mattina, saluto
Nadil il barbiere arabo al numero 33. E’ sempre fuori il suo negozio, passa il
tempo a contare le macchine. Dentro il locale alcuni ragazzi guardano
entusiasti la Coppa d’Africa. La strada si allarga, mi faccio ingoiare. Arrivo davanti
alla scuola Rigutini e leggo su una lapide i nomi di
partigiani sconosciuti. Sento ancora gli operai della Tosi, dell’Olcese e del
quinto magazzino
gridare dai recinti. Vedo ancora le piazze gremite, mentre Pajetta e
Jacometti infuriano
contro i nazifascisti. E’ intervallo. Bambini marocchini, tunisini, kosovari,
senegalesi, italiani sono in festa. Le loro voci, si mischiano a quelle dei
figli degli operai meridionali, venuti qui negli anni ’60. I richiami dei
loro maestri hanno lo stesso tono di Don Ponzetto, un prete operaio molto amato
in questa zona.
Riprendo a pedalare, cerco di distrarmi dal freddo con la musica del mio iPod.
Costeggio il campo dell’Olimpia e mi fermo a guardare nostalgico: l’Olimpia era
famosa perché i suoi giocatori non si
passavano mai la palla, eppure vincevano. Ora, sul campo, vedo senegalesi e
italiani giocare insieme, scambiarsi di ruolo e fare assist da manuale.
Proseguo tra gli attici popolari di Via Casorati e di Via Morazzone, mentre alla
mente tornano altri ricordi: sono i racconti di mio padre, che a Sant’Agabio ha
insegnato per 25 anni. Di cose qui nel quartiere ne ha viste e sentite tante.
Quando tornava a casa ci raccontava dei suoi studenti, della droga, delle
risse, delle famiglie storiche, del clima di paura che regnava negli anni ’90,
la fase della deindustrializzazione. Ora vedo villette a schiera, palazzoni, e
condomini residenziali. Via Casorati ha un’altra forma e un’altra storia da
raccontare.
Mi fermo. Ho bisogno di un caffè. Entro in un bar arabo in Via della Riotta.
Avete mai notato le pareti dei bar? Nascondono la cultura e l’antropologia di
un territorio. In questo bar, la foto dell’attaccante Rubini convive con
quella di Maometto
e quella del padrone ormai defunto, mentre le melodie di Mustafa Sandal
si diffondono per le sale. I simboli e il senso di appartenenza nascono
anche da qui, per poi crescere e si diffondersi nelle
nuove generazioni, lente e graduali.
Pago il mio caffè ed esco per dirigermi verso la piazza del mercato, tra il
Terdoppio e il benzinaio, il cuore di Sant’Agabio. Indiani, pakistani, cinesi,
coreani, senegalesi, ucraini, albanesi
scambiano entusiasti le loro preziose merci. Un vivaio di colori e
dialetti, dove le arance siciliane si mescolano ai pomodori spagnoli, le lunghe
melanzane di Catania con le verze coltivate a Vignale. E ancora, la carne di
manzo con quella equina e con gli agnelli di Rabat. Tutti
sembrano recitare i vecchi rituali del commercio, come in grande
teatro. Poi le facce. Facce come quella
di Hassan, l’egiziano: gli occhi spiritati, le lunghe rughe curve,
gli zigomi scavati, la barba
incolta e brizzolata. Sul tavolo della macelleria, la testa di un toro, ancora
con le corna. Non c’è sangue, solo muscoli e ossa. E’ impressionante vedere le
braccia di quel vecchio smembrare il muso, la fronte e la bocca del povero
animale. Dall’altra parte, i commercianti pachistani e quelli marocchini offrono
vestiti in seta a metà prezzo.
Mi perdo a Sant’Agabio e mi accorgo di non conoscere la mia città. Mi sento
come uno di quei personaggi di Spike Lee che parlano di razzismo e
solitudine.
Come un uomo sulla terra, pedalo.
Pedalo e penso che la politica sia "conoscere il mondo".
Pedalo e per un attimo dimentico.
Dimentico Joy, la prostituta nigeriana trovata morta nell'Agogna.
Dimentico tutto l’abbaiare contro l'uso del burqa e del niqab a Novara.
Dimentico le manifestazioni di Massimo Giordano, Roberto Cota e Davide Boni nel
2007.
Dimentico quella cultura fondata sulla paura e la discriminazione razziale.
Dimentico tutto: Osama Bin Laden, Abu Grahib, i morti al Cairo, Tripoli e
Tunisi.
Dimentico il mare Mediterraneo e i suoi corpi galleggianti.
Nonostante noi, la "Storia" prosegue. Anche qui a S. Agabio si
ripete, uguale a se stessa, inconsapevole.
Bello!
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