domenica 1 aprile 2012

Un giorno a Sant'Agabio

Riceviamo da Valeria Privitera questa riflessione del figlio Giuseppe Passalacqua. Ci auguriamo sia di stimolo per comprendere meglio questa nostra città, nelle sue diversità e molteplici sfaccettature. Un grazie sentito ai nostri due nuovi amici.


Basta un’ora per innamorarsi di Sant’Agabio. Sei binari separano i giardinetti di Piazza Garibaldi dai muri invisibili del Leonardo da Vinci. Sei binari possono bastare per scoprire una società che cambia. Basta fermarsi. Osservare le signore con le facce truccate e liftate che tornano da Milano. Basta guardare le nigeriane che  arrivano da Torino con le loro borse e le buffe parrucche. Basta sentire le voci degli  studenti che rimbombano sotto le traversine. Spavaldi, indossano la tracolla per un altro giorno di scuola, mentre mendicanti invisibili chiedono soldi e vengono derisi. Solo sei binari separano il “Bronx”, il “quartiere ghetto” dal centro storico di Novara.
Sant’ Agabio, 12.877 abitanti.
Sant’agabio 3.274 extracomunitari.
S. Agabio la Novara multietnica, un Mondo in 37 nazioni.
S. Agabio, il secondo vescovo dopo Gaudenzio.
S. Agabio, la contraddizione di Novara.
S’ Agabio, una profezia che si autoavvera. Costante e  ignara di se stessa.


Il passaggio a livello è chiuso. Aspetto passare l’ultimo merci. Slego la bicicletta. Il sellino è ancora bagnato dall’umidità del mattino. La lascio sempre lì, appoggiata al container, tra carcasse di catene e ferraglia. Pedalo. Al dopolavoro, i ferrovieri gustano il primo caffè e parlano un dialetto che non conosco. Pedalo. Supero la zona del boschetto e il polo chimico intorno alla
Montecatini. La ferrovia sembra lontana.  I magazzini arabi sono già aperti, la spazzatura è già ammucchiata davanti al negozio di Hasserar, il primo kebabbaro della zona. Alcuni bambini sorridono sulle loro Bmx, tra polvere e fumo. Nel giardinetto i soliti anziani, col turbante, la maglietta bianca  e i pantaloni di lino. Mi guardano stupiti e mi sento straniero. Arrivo in Corso Trieste, una lunga arteria che si propaga in un sistema infetto, la pancia di questo inferno-paradiso. L’aria fredda entra nei miei polmoni insieme al puzzo di piscio e a quello del curry. Le narici vanno in paranoia. Il traffico è intenso e il freddo non fa respirare. Come ogni mattina, saluto Nadil il barbiere arabo al numero 33. E’ sempre fuori il suo negozio, passa il tempo a contare le macchine. Dentro il locale alcuni ragazzi guardano entusiasti la Coppa d’Africa. La strada si allarga, mi faccio ingoiare. Arrivo davanti alla scuola Rigutini e leggo su una lapide i nomi di
partigiani sconosciuti. Sento ancora gli operai della Tosi, dell’Olcese e del quinto magazzino
gridare dai recinti. Vedo ancora le piazze gremite, mentre Pajetta e  Jacometti infuriano
contro i nazifascisti. E’ intervallo. Bambini marocchini, tunisini, kosovari, senegalesi, italiani sono in festa. Le loro voci, si mischiano a quelle dei figli degli operai meridionali, venuti qui negli anni ’60.  I richiami dei loro maestri hanno lo stesso tono di Don Ponzetto, un prete operaio molto amato in questa zona.
Riprendo a pedalare, cerco di distrarmi dal freddo con la musica del mio iPod. Costeggio il campo dell’Olimpia e mi fermo a guardare nostalgico: l’Olimpia era famosa perché i suoi giocatori non si
passavano mai la palla, eppure vincevano. Ora, sul campo, vedo senegalesi e italiani giocare insieme, scambiarsi di ruolo e fare assist da manuale.
Proseguo tra gli attici popolari di Via Casorati e di Via Morazzone, mentre alla mente tornano altri ricordi: sono i racconti di mio padre, che a Sant’Agabio ha insegnato per 25 anni. Di cose qui nel quartiere ne ha viste e sentite tante. Quando tornava a casa ci raccontava dei suoi studenti, della droga, delle risse, delle famiglie storiche, del clima di paura che regnava negli anni ’90, la fase della deindustrializzazione. Ora vedo villette a schiera, palazzoni, e condomini residenziali. Via Casorati ha un’altra forma e un’altra storia da raccontare.
Mi fermo. Ho bisogno di un caffè. Entro in un bar arabo in Via della Riotta.
Avete mai notato le pareti dei bar? Nascondono la cultura e l’antropologia di un territorio. In questo bar,  la foto dell’attaccante Rubini convive con quella di Maometto
e quella del padrone ormai defunto, mentre le melodie di Mustafa Sandal  si diffondono per le sale. I simboli e il senso di appartenenza nascono anche da qui, per poi crescere e si diffondersi nelle
nuove generazioni, lente e graduali.
Pago il mio caffè ed esco per dirigermi verso la piazza del mercato, tra il Terdoppio e il benzinaio, il cuore di Sant’Agabio. Indiani, pakistani, cinesi, coreani, senegalesi, ucraini, albanesi
scambiano entusiasti le loro preziose merci.  Un vivaio di colori e dialetti, dove le arance siciliane si mescolano ai  pomodori spagnoli, le lunghe melanzane di Catania con le verze coltivate a Vignale. E ancora, la carne di manzo con quella equina e con gli agnelli di Rabat. Tutti
sembrano recitare  i vecchi rituali  del commercio, come in grande teatro.  Poi le facce. Facce come quella di Hassan, l’egiziano: gli occhi spiritati,  le lunghe  rughe curve, gli zigomi scavati, la barba
incolta e brizzolata. Sul tavolo della macelleria, la testa di un toro, ancora con le corna. Non c’è sangue, solo muscoli e ossa. E’ impressionante vedere le braccia di quel vecchio smembrare il muso, la fronte e la bocca del povero animale. Dall’altra parte, i commercianti pachistani e quelli marocchini offrono vestiti in seta a metà prezzo.
Mi perdo a Sant’Agabio e mi accorgo di non conoscere la mia città. Mi sento come uno di quei  personaggi di Spike Lee che parlano di razzismo e solitudine.
Come un uomo sulla terra, pedalo.
Pedalo e penso che la politica sia "conoscere il mondo".
Pedalo e per un attimo dimentico.
Dimentico Joy, la prostituta nigeriana trovata morta nell'Agogna.
Dimentico tutto l’abbaiare contro l'uso del burqa e del niqab a Novara.
Dimentico le manifestazioni di Massimo Giordano, Roberto Cota e Davide Boni nel 2007.
Dimentico quella cultura fondata sulla paura e la discriminazione razziale.
Dimentico tutto: Osama Bin Laden, Abu Grahib, i morti al Cairo, Tripoli e Tunisi.
Dimentico il mare Mediterraneo e i suoi corpi galleggianti.

Nonostante noi, la "Storia" prosegue. Anche qui a S. Agabio si ripete, uguale a se stessa, inconsapevole.

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