Va di moda il viaggio artistico simbolico: a Genova “Van Gogh e il viaggio di Gauguin” (imperdibile per le opere dei due Mostri sacri, ma anche per abbinamenti suggestivi del tipo Turner/Rotko) e a Novara “Gaudenzio, Eusebio, Ambrogio”.
Il viaggio sembra essere, dunque, il filo rosso che lega Novara-Vercelli-Milano attraverso la mostra che si sta per concludere (29 febbraio) alla Sala Moroni della Fabbrica Lapidea della Basilica di S. Gaudenzio.
Dei tre Vescovi si ritrova la vita e il mito sui chiari pannelli didattici; si scopre l’origine dello staffile di Ambrogio, si legge delle virtù di esorcista di Gaudenzio e della dirittura morale di Eusebio. Si entra completamente nel trapassato remoto pur rimanendo nel presente grazie al video che propone le immagini dei tre Vescovi raccolte nei luoghi sacri di tanti paesi della Diocesi.
Si rinverdiscono le antiche leggende che nascono sempre da una qualche sottile verità.
E’ il 396 quando Ambrogio, Vescovo di Milano, si reca a Vercelli per dirimere la complessa questione dell’elezione del nuovo vescovo dopo la morte del successore di Eusebio. Poi il viaggio di ritorno a Milano: superata Novara, il cavallo di Ambrogio si rifiuta di proseguire; sta scendendo la sera e Ambrogio decide di fermarsi dall’amico Gaudenzio, non ancora vescovo, stupefatto ed imbarazzato perché non ha nulla da offrire all’illustre ospite, ma il miracolo si compie : le rose invernali sbocciano nel piccolo giardino e il frutteto regala la frutta per la frugale cena. Ambrogio predice a Gaudenzio la prossima investitura che avviene nel 398 quando Ambrogio è già morto, nel rispetto della profezia gaudenziana.
Viaggio nel tempo personale, anche. Ricordi lontani di nebbie intense, di voci ovattate, di odori dolciastri che si srotolano nelle vie, strette intorno alla Basilica.
Di primo mattino i marunat, il cappello ben calcato sul capo, avvolti nei lunghi mantelli neri tappezzavano i muri di via S. Gaudenzio e di via Gaudenzio Ferrari con le file di marroni morbidi e affumicati mentre altre attendevano, sonnolente nelle ceste di vimini. Gli uomini, padri e nonni, confluivano alla Basilica per la cerimonia dei fiori e per acquistare la migliore fila di marroni; figli e nipoti si sottoponevano di buon grado al giogo portandola sulle spalle resistendo al profumo invitante delle castagne. Le madri e le nonne a casa preparavano il pranzo festivo. Nel pomeriggio le famiglie al completo sfilavano ordinate e pazienti verso lo Scurolo per la benedizione di sciarpe, guanti, cappelli; molte persone attendevano il proprio turno per sedersi sullo scranno di pietra le cui virtù taumaturgiche avrebbero protetto dal mal di schiena.
Il tramonto segnava la fine della festa popolare; i marunat sbaraccavano dopo aver decantato ancora una volta la bontà della mercanzia, sperando di riportarne nel Cuneese il meno possibile.
Silenzio. Soltanto la fontanella continua il suo chioccolio.